Perché la valutazione dello stress lavoro-correlato è una rottura di scatole? Semplice, perché:
- Non serve a niente.
- Si basa su domande assurde.
- Alla fin fine nessuno sa come farla bene.
Robe da setta esoterica
Fin da quando è stata introdotta dal Dlgs. 81/08, a parte i pochi illuminati dalla teoria di Hackman & Oldham e alcuni adepti della scuola di Dresda non c’è mai stata tanta chiarezza su come farla. Povera INAIL, prima ISPESL, nessuno sembra trarre conclusioni adeguate dal concetto degli eventi sentinella. Povero Piergiorgio Argentero che da una ventina d’anni promuove il benessere organizzativo, un concetto dagli accenti troppo chiari per essere recepiti.
Stress da giungla
Fino ad oggi, io che da bravo psicologo vado a fare crediti ECM e mi sento riproporre, dopo tutto questo tempo, che lo stress è una reazione fisiologica del tipo fuggi o attacca, come quando ti ritrovi davanti a tigre in mezzo alla giungla del Bengala. Mi chiedo, chissà quanti addetti call center dinnanzi al telefono che squilla senza interruzione per otto ore filate hanno provato l’impulso di mangiarselo o di lanciarlo dalla finestra. Tanti, probabilmente. Ma ci si può porre la domanda, se sia una strategia di coping adeguata. Eh sì, il coping – che saggezza. Gestire lo stress.
Yoga o mai più
Allora c’era chi proponeva di gestire lo stress con un’alimentazione corretta. Perché non fare yoga? Ma, mi chiedo, quanti RSPP avranno mai suggerito di fare yoga al lavoratore che si ritrova un impianto elettrico che fa le scintille? Eh, beh, del resto l’ergonomia dei posti di lavoro è una scienza precisa, non come la psicologia, che tuttalpiù è una bella lettura paragonabile all’oroscopo.
Del resto, un tavolo troppo basso si vede. Al limite, un telefono che suona senza interruzione, si sente. Ma si sente, seppur non con le orecchie, anche il clima aziendale, il riconoscimento da parte dei superiori, si percepisce anche quando sul lavoro si viene interrotti frequentemente, quando le informazioni necessarie allo svolgimento delle mansioni sono incomplete o gli ordini dei preposti sono contradditori o poco chiari.
Se stai male è colpa tua
L’ergonomia del lavoro non finisce con la misurazione del tavolo. Non vado a menzionare norme ISO perché darebbe una connotazione troppo seria a questo ragionamento. Ad ogni modo la nozione che la valutazione del rischio da stress lavoro-correlato è una valutazione del posto di lavoro non sembra essere benvoluta quando si parla dei rischi psicologici. È un paradosso. Se un rubinetto perde, diceva il mio Prof preferito, e tu stai li ad asciugare ed asciugare senza fine, dopo un po’ ti viene da dire: “ma non serve a niente!” E se passa uno psicologo e nota che il rubinetto ti irrita emotivamente e ti chiede se hai fatto yoga, beh, dirai: “che domanda assurda!”
E se ti ritrovi da psicologo del lavoro a parlare con un collaboratore che trema per frustrazione che prova a causa di una suddivisione ingiusta del carico di lavoro e lo fai presente al medico competente che ti risponde che il collaboratore allora non è adeguato al lavoro? Che dire? Che c’è tanto da fare per fare accettare la nozione di ergonomia psicologica. Che alla fine dei conti ci guadagnano tutti a mettere in pratica quello che la scienza (e pure l’INAIL) dicono da tempo. Che il benessere organizzativo è un investimento lucrativo – si investe nella produttività, nella lealtà, nel commitment (finalmente ho potuto piazzare un bel parolone inglese). Ma gli indicatori oggettivi da tenere d’occhio non sono gli eventi sentinella: quando la fluttuazione e gli incidenti già avvengono è palesemente troppo tardi, i rischi da stress lavoro-correlato vanno prevenuti, come tutti gli altri rischi sul lavoro.